Al termine di una visita di due giorni nelle Filippine, la settimana scorsa, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha sottolineato «l’impegno ferreo» di Washington nel difendere le Filippine in caso di attacco contro le sue forze armate.

L’interesse americano per le Filippine può essere spiegato entro diverse logiche. Innanzitutto, c’è quella strategica. Tra le settemila isole che compongono l’arcipelago filippino, quella più a nord, Mavulis (anche nota come Y’Ami), sta a sole 60 miglia nautiche dall’isola più meridionale – Orchid, o Lanyu – di Taiwan. In questo senso, l’attività militare della Cina nel Mar Cinese Meridionale – chiamato da Manila «il mare delle Filippine» – preoccupa non poco. L’ultimo scontro risale solo a poche settimane fa, quando le guardie costiere dei due Paesi si sono accusate reciprocamente per aver «bloccato e sparato con idranti verso le nostre navi».

A fronte di maggiore insicurezza, tra il 2019 e il 2023, come osservato dall’Istituto Internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (SIPRI), le Filippine hanno aumentato le importazioni di armi del 105 per cento. Sul fronte regionale, non sono passati inosservati i due memorandum firmati lo scorso 30 gennaio da Vietnam e Filippine per rafforzare la cooperazione marittima e la sicurezza nel Mar Cinese Meridionale – definita un’area “complicata”. Nonostante le dispute tra i due paesi sulle isole Spratly, il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr ha affermato che il Vietnam è «il nostro unico partner strategico» nel Sud-Est asiatico.

Washington cerca di inserirsi all’interno di queste insicurezze. Nel febbraio 2023 Stati Uniti e Filippine hanno annunciato un accordo per aumentare la presenza militare americana nell’arcipelago, consentire agli americani di posizionare attrezzature militari e far muovere le proprie truppe attraverso nove basi controllate dalle Filippine. Ad aprile le forze statunitensi e filippine terranno le loro più grandi esercitazioni di combattimento – l’anno scorso, a questa iniziativa annuale, avrebbero partecipato almeno 16.000 soldati locali e americani.

Stati Uniti e Filippine sono legati da un trattato di mutua difesa firmato nel 1951 che, essendo ancora in vigore, resta la più antica alleanza bilaterale nell’Asia per gli Usa. Il Paese ospitava due delle più grandi installazioni militari americane all’estero, la base aerea di Clark e la stazione navale di Subic Bay, necessarie allo sforzo bellico degli Stati Uniti in Vietnam negli anni Sessanta, trasferite negli anni Novanta sotto il controllo di Manila.

Che dire poi dei rapporti economici: Stati Uniti e Filippine hanno scambiato beni per un valore di 22,6 miliardi di dollari nel 2023 e circa 10,6 miliardi di dollari nei servizi nel 2022. Gli Stati Uniti sono il più grande mercato di esportazione delle Filippine e uno dei maggiori investitori stranieri del paese. In viaggio nelle Filippine, la segretaria al Commercio Gina Raimondo ha recentemente detto che Washington investirà un miliardo di dollari nelle Filippine.

Operazioni simili non sarebbero possibili se non accompagnate da punti di forza interni alle Filippine stesse: qui la popolazione è giovane (l’età media è di 25 anni), qualificata e con un buon livello di inglese, anche se povertà, corruzione, calamità naturali e inadeguato sviluppo delle infrastrutture frenano la crescita del Paese. Che, nonostante ciò, nel 2023 ha visto crescere il suo pil del 5,6 per cento, registrando il migliore risultato tra i Paesi asiatici.

La necessità di uno sviluppo economico e di una sicurezza geopolitica obbligano le Filippine a cercare aiuto altrove e, allo stesso tempo, facilitano il ruolo degli Stati Uniti. Che, a testimonianza di un’attenzione sempre crescente all’Indo-Pacifico, inviteranno i leader di Filippine e Giappone in un vertice alla Casa Bianca ad aprile.

L’Osservatore Romano – 27/3/2024